ricerca del lavoro

Assegno di ricollocazione: come procede?

Sono oramai due mesi che è partita la sperimentazione per l’assegno di ricollocazione, quello strumento di politiche attive del lavoro che è stato pensato per dare ai disoccupati la possibilità di seguire un percorso di ricollocazione mirato, supportati da enti specializzati proprio in questo.

La sperimentazione è iniziata, dicevamo: avrebbe dovuto coinvolgere 30.000 disoccupati, ne ha per ora raggiunti 600 su circa 20mila lettere inviate.

Ci sono anche i primi successi, come racconta La Nuvola del Lavoro del Corriere, che parla di Elena, una signora del Triveneto che dopo due anni a casa ha finalmente firmato un contratto di 6 mesi.

Non è tutto rose e fiori comunque e, pur dando ogni possibilità a quella che è appunto una sperimentazione, di aggiustamenti da fare ce ne sono.

Innanzi tutto a livello di comunicazionese anche la signora Elena, una volta ricevuta la lettera, ha ammesso che «All’inizio non ho capito di cosa si trattasse. Poi mi sono informata e ho deciso di aderire al progetto»

Ma anche tutto il processo è un meccanismo lento e farraginoso, in cui il candidato deve affrontare le 12 fatiche di Asterix nei meandri della burocrazia, certamente non facilitato da un sistema informatico non ancora allineato.

C’è poi chi, come Pietro Ichino, solleva “critiche alle regole contenute nel Vademecum dell’Anpal, che consente al destinatario della lettera di “pensarci su e riservarsi di aderire in seguito” entro il termine del trattamento di disoccupazione, che può durare fino a 24 mesi. «Chiunque si occupi di politiche attive del lavoro sa che la ricollocazione di una persona è tanto più difficile quanto più lungo è stato il suo periodo di disoccupazione – afferma Ichino -. Consentire di “pensarci su” finché dura il sostegno del reddito significa lisciare il pelo a quella pessima cultura che caratterizza i nostri vecchi servizi per l’impiego, e di riflesso i comportamenti opportunistici di troppi disoccupati: quelli che considerano il godimento dell’ammortizzatore sociale come una sorta di prepensionamento, o comunque di vacanza. Ma questo è esattamente il contrario dell’idea cui si ispira la riforma del 2015».

Per Ichino la riforma « mira invece a coniugare un forte sostegno economico e servizi di assistenza efficaci con una regola seria di condizionalità», volta «a evitare che il sostegno del reddito incentivi l’inerzia dei beneficiari, diventando un fattore di allungamento dei periodi di disoccupazione. Chi ha scritto le regole di questo “esperimento-pilota”, in realtà, non vuole affatto sperimentare la riforma».”
(da Il Sole 24 Ore)

Insomma, come tante altre volte, anche in questo caso le intenzioni sono buone, ma poi resta sempre tanto da sistemare, perché non si ha il coraggio di mettere in campo riforme toste, non si ha il coraggio di rendere i lavoratori i veri protagonisti della ricerca di una nuova occupazione.
Ancora si resta legati ad una mentalità assistenzialista, che non è per niente educativa. Ed è un vero peccato.

foto di Geisteskerker – da pixabay

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