L’intervista di oggi va un po’ oltre la semplice descrizione di un ruolo e di una serie di mansioni: approfondiamo con il nostro ospite, a partire dalla sua esperienza, anche alcuni aspetti legati alla necessità di una formazione continua, soprattutto in un settore in costante cambiamento, e alla curiosità che diventa motivazione quotidiana alla ricerca, non solo di informazioni, ma di spunti per crescere.
Ciao! Parlaci un po’ di te
Sono Andrea, mi divido tra la famiglia, il lavoro e le passioni personali. Nella mia professione sono il responsabile dell’ufficio studi al Sole 24 ORE.
Ci racconti bene bene che lavoro fai?
È un lavoro di management: gestisco le attività dei colleghi che servono a produrre le tabelle con i numeri che trovate pubblicate sul giornale e coordino le attività di analisi di dati economici e finanziari per supportare il lavoro delle redazioni giornalistiche. Poi contribuisco direttamente con il blog Infodata, il primo di data journalism e data analysis in Italia.
In pratica vi sono sia attività di operations, sia attività di progetto legata all’innovazione dei prodotti e dei servizi che generiamo. E per fare questo lavoro, con un team di professionisti, gestisco un budget per acquistare dati, contenuti, servizi e strumenti informatici.
Descrivi la tua giornata tipo (sempre che ce ne sia una!)
È molto difficile da dire, perché c’è molta routine ma la maggior parte delle attività seguono la cronaca e i picchi stagionali di lavoro. Non ho orari fissi, e questo vuol dire principalmente che vi sono periodi in cui si inizia a lavorare alla mattina molto presto e si finisce alla sera molto tardi, per seguire il ciclo di produzione di un giornale. In genere, tuttavia, il mio lavoro è spostato vero il tardo pomeriggio o alla sera, mentre alla mattina è molto più tranquillo.
Che cosa ti piace di più del tuo lavoro?
Mi piace molto la varietà delle situazioni che ti pone davanti, con sfide sempre nuove ogni giorno. Sia che abbia a che fare con il cambiamento della rivoluzione digitale che sta stravolgendo il settore dei media, sia con le richieste di analisi quotidiane che arrivano dalle redazioni.
Hai voglia di confessarci anche quello che ti piace di meno? O quello che cambieresti?
Mi piace meno, per mia natura, la parte burocratica e amministrativa. Mi rendo conto che sia necessaria per il corretto funzionamento dei processi, ma mi assorbe molte energie.
Hai sempre saputo di voler fare questo lavoro, o l’hai capito più tardi?
In realtà è capitato. Sono una persona attratta dal cambiamento, dalla sperimentazione delle novità, anche professionali, e ho quasi sempre accettato le proposte che mi ponevano davanti nuove sfide. Ho cercato di spingere la mia carriera facendo leva su questo: cambiare e aiutare gli altri a cambiare per adeguarsi alle condizioni. Ho iniziato nell’IT, sono stato nel marketing, mi sono occupato di contenuti ed infine di dati finanziari, ma il denominatore della mia carriera è sempre stato il cambiamento nella rivoluzione digitale. Questo l’ho capito da quando ho iniziato a programmare a sedici anni sul mio primo PC, acquistato usato.
Come ti sei preparato per il tuo lavoro?
Non ho purtroppo avuto una preparazione specifica. Ho competenze personali acquisite all’università, ed ho seguito dei corsi di specializzazione quando già lavoravo da molti anni, conseguendo anche un master in project management. In realtà la formazione, in particolar modo l’auto formazione, è una parte intrinseca delle mie attività. Ritaglio sempre del tempo per studiare e imparare, per migliorare me stesso e aiutare a migliorare l’ambiente di lavoro in modo continuo.
Cosa diresti a chi sta pensando di fare da grande il tuo lavoro?
Di essere curiosi, sempre, e di non credere mai che non vi sia nulla più da imparare o nulla ancora da insegnare. Questo però vale per il mio come per ogni altro lavoro.
Cosa diresti al “giovane te stesso” di quando avevi 10/15/20 anni?
Di non avere paura del futuro, e di confidare di più in me stesso. Quando ero ragazzino, diciamo tra i 15 e i 20 anni, non credevo di essere “abbastanza bravo”. Ad esempio, dopo il liceo scientifico non ho avuto il coraggio di iscrivermi alla facoltà di matematica perché pensavo che non sarei riuscito a concluderla, immaginando che fosse troppo difficile per me. Poi al lavoro (ho iniziato presto lasciando gli studi: mi sono laureato molto dopo) mi hanno detto da subito che dovevo prendere decisioni importanti, ogni giorno. E non ho avuto paura. A quel punto l’esame di diritto privato per il quale non mi sentivo mai pronto è diventato semplicissimo. Insomma, per me è stato come nel romanzo “La linea d’ombra” di Conrad: non si è mai abbastanza pronti per prendere decisioni, ma non è certo una buona scusa per non iniziare a farlo.
Sei contento di quello che fai o, potendo, torneresti indietro? Perché?
Sono molto felice di quello che faccio. Mi manca solo una esperienza professionale all’estero, che avrei voluto fare anni fa, ma non ce n’è mai stata la possibilità concreta. Forse l’unico rimpianto.
Ti ringrazio per il tempo che ci hai dedicato. Se ti va, sei libero di aggiungere un pensiero, un aneddoto, un consiglio, una citazione, un’immagine o quello che vuoi.
L’immagine è questa:
ed è presa dal blog di Håkan Forss. Spiega abbastanza bene che spesso la trappola in cui ci infiliamo al lavoro è quella di pensare di essere troppo occupati per migliorare noi stessi, le attività, gli strumenti, i processi o anche semplicemente le relazioni con i/le colleghe/i. Il processo di miglioramento continuo è minato dall’appagamento per quello che abbiamo acquisito e non dallo stimolo verso quello che invece dobbiamo ancora raggiungere. Spesso guardo questa immagine e mi chiedo “Andrea, in cosa sei migliorato oggi?”. Se non trovo una risposta, per quanto bene abbia fatto il mio lavoro, quello è stato un giorno sprecato.
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