categorie protette

Disabilità e lavoro: il punto di vista delle aziende

Mi sono chiesta quale sia il punto di vista delle aziende sul tema dell’inserimento di persone con disabilità all’interno del proprio organigramma.

Per provare a dare una risposta alla mia domanda, ho chiesto aiuto a chi si interfaccia con le aziende stesse nel momento in cui ricercano personale.

Ringrazio quindi Elena Belloni, Specialista Divisione Diversity Talent di Openjobmetis, Elisabetta Matti, Senior HR Consultant in Alvin Consulting – brand di Articolo1, e Daniele Regolo, Presidente e fondatore di Jobmetoo, tutte società che hai trovato citate nell’ultimo post a proposito dei siti che pubblicano offerte di lavoro dedicate alle categorie protette.

Dal confronto con loro è emerso che sì, “purtroppo attualmente in Italia abbiamo bisogno di un obbligo di legge per fare qualcosa che altrove è normale” racconta Elena. “Da noi esiste ancora un pregiudizio culturale per cui la diversità viene identificata con la grave disabilità fisica, e la disabilità fisica viene percepita come un peso per l’azienda.
Ma la diversità, intesa anche nel senso più ampio del termine, può solo far bene ad un’azienda.”

In effetti la situazione sta, lentamente, migliorando, prosegue Elena: “oggi molte aziende si sono dotate di un diversity manager per gestire al meglio questa tematica, e si susseguono i convegni in cui vengono presentate buone pratiche ed esperienze di successo.”

Anche nel racconto di Elisabetta appare questo cambiamento: “negli ultimi anni ho potuto verificare come, nella maggior parte delle aziende che si sono rivolte a noi per la ricerca e selezione di figure appartenenti alle categorie protette, si stia concretamente diffondendo una cultura basata sul rispetto della diversity.
Questo cambiamento si declina nell’ambito della disabilità, nel tentativo di far incontrare la necessità di assolvere l’obbligo di inserimento previsto dalla legge 68/99 e le reali esigenze dell’azienda in termini di vacancy interne da colmare.
In questo senso, si aprono nuove prospettive soprattutto per i candidati, che possono valutare opportunità lavorative più rispondenti al loro profilo professionale e alle loro attitudini, capacità e aspirazioni.

La strategia applicata da Openjobmetis, per esempio, è di favorire “un cambio di approccio: non partiamo più dalle caratteristiche della risorsa ‘diversa’ da collocare, ma chiediamo all’azienda di quali profili professionali ha bisogno. Selezioniamo quindi risorse che possano essere inserite in un contesto lavorativo idoneo e nel rispetto di quelle che possono essere le limitazioni legate al tipo di invalidità.”

“La sfida – racconta Daniele – sta nell’andare oltre quello che può essere un dubbio, una titubanza o, in alcuni casi, un vero e proprio preconcetto del referente HR dell’azienda committente, rispetto alla possibilità che una risorsa appartenente alle categorie protette possa realmente essere adeguata per il contesto aziendale, per la tipologia di ruolo da ricoprire, e si possa perfettamente integrare. 
E qui entra in gioco l’esperienza del commerciale e del recruiter dell’ApL che, attraverso esempi concreti di “inserimenti di successo”, debbono riuscire a rassicurare l’azienda sulla fattibilità dell’inserimento del candidato, nella posizione da ricoprire.”

Quali tipologie di professionalità vengono maggiormente ricercate dalle aziende?

Risponde Elisabetta: “oltre alle consuete richieste di profili impiegatizi generici da inserire nelle funzioni Servizi Generali o Customer Service, riceviamo richieste di candidati junior con percorsi formativi specifici e qualificati ma anche di figure senior con expertise consolidata, principalmente in ambito Marketing, Finance e ICT.
Le aziende si orientano verso l’inserimento di risorse che possano contribuire concretamente al business compatibilmente con la loro condizione di disabilità.”

Nell’esperienza di Daniele “la tipologia di disabilità è comunque strettamente correlata alla posizione che il candidato dovrà andare a ricoprire in azienda. Dunque il focus principale sarà orientato all’analisi del ruolo del candidato, delle attività che dovrà svolgere, del contesto in cui verrà inserito, del team di lavoro con cui dovrà interfacciarsi, degli skills richiesti e necessari, delle competenze, così da poter valutare quale tipologia di disabilità si rivela meno impattante onde poter arrivare ad un inserimento di successo, nel quale la patologia o le limitazioni ad esse correlate non vengono acutizzate dall’attività lavorativa, ma diventano invece un “di cui” e consentano di mettere in risalto le competenze e gli skills del candidato.

Sottovalutando questi aspetti – ovvero la “compatibilità” della patologia rispetto al ruolo – si può fare sì un inserimento a norma di legge, ma col rischio di creare malcontento, sia per il candidato sia per l’azienda.

Riuscire a trovare per ogni candidato, il ruolo o l’attività lavorativa adatti, giusti, coerenti, “su misura” rispetto alla disabilità ed in modo tale che quest’ultima non vada ad impattare sulla sfera lavorativa, farà in modo che l’inserimento possa di fatto sovrapporsi a qualunque inserimento per candidati non appartenenti alle categorie protette.”

Che ruolo ha il selezionatore nel far capire all’azienda che le competenze del candidato possono anche andare al di là della specifica disabilità?

Secondo Elisabetta “in alcuni casi il selezionatore ha il ruolo di mediatore: accompagna l’azienda verso una ridefinizione parziale delle richieste e delle attese, che porti verso una soluzione inclusiva e di reciproca soddisfazione e aiuta l’azienda a sciogliere eventuali dubbi o resistenze rispetto alle presunte difficoltà che il candidato potrebbe riscontrare nell’attività lavorativa.”

È inoltre importante, sottolinea Daniele, che il recruiter riesca “a creare un legame empatico con il candidato, così da poter conoscere, a monte del processo selettivo, la condizione di disabilità e le esigenze specifiche ad essa correlate e se quanto precede potrà o meno avere un impatto sfavorevole sull’attività lavorativa con l’analisi dei “ragionevoli accomodamenti” da adottare.”

Alla fine comunque, conclude Elisabetta, “l’ultima parola spetta sempre alle due parti coinvolte!”

Ma la chiacchierata non finisce qui!

Nel prossimo post, con l’aiuto di Elena, Elisabetta e Daniele, proveremo a identificare alcuni accorgimenti pratici di cui avvalersi nelle fasi di candidatura e colloquio.

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