Neet: un modo, forse, per prevenire alla radice…
Alla riunione per la scuola primaria, ieri sera, la dirigente ha detto tante cose: su alcune sono d’accordo, su altre un po’ meno (anche se non me le ricordo e quindi forse niente di eccessivo…) ma un concetto mi ha fatto pensare, e ancora non ho capito se in positivo o in negativo.
Ha parlato di comptetitors dei nostri bambini. Bambini coreani, giapponesi, americani che a 6 anni sono più avanti dei nostri, che sanno accudire un fratellino e scaldarsi la minestra (per lo meno i coreani, gli americani non lo so).
Ora io non so se a 6 anni la cosa può essere esagerata, avere un aspetto molto aziendale e troppo orientato al business, la minaccia di rubare l’infanzia a questi poveri cuccioli che già crescono troppo in fretta…
Però, ripensandoci, forse è stato solo il termine “competitor” che mi ha stonato un po’, perchè il concetto di fondo in realtà lo condivido.
Non si tratta di far crescere in fretta i bambini, toglier loro il tempo del gioco, o trasformarli in piccoli adulti orientati al business (quale, tra l’altro?)… si tratta di gettare le basi della loro autonomia, quella sì; della loro capacità di saper prendere delle decisioni e risolvere il loro piccoli problemi. Si tratta di prevenire la dipendenza da mamma e papà per ogni cosa della vita, anche quando saranno grandi.
Forse in questi giorni sono anche influenzata dalla lettura di “NEET. Giovani che non studiano e non lavorano” (Vita&Pensiero, 2015) e ad un certo punto si parla proprio dell’inadeguatezza della scuola nel preparare i giovani al mondo del lavoro, non trasmettendo competenze aggiornate e lasciandoli allo sbaraglio sia nel momento della scelta del percorso di studi, che in quello dell’uscita verso la professione.
Però le basi, in effetti, vanno gettate anche prima, molto prima.