Una sintesi tra “MAAM” e “Volevo fare l’astronauta”
Adesso che è passato l’entusiasmo dalle recensioni, ti lascio qualche appunto sparso di pensieri nati in questi due mesi di “digestione”, rilevando che in qualche modo questi due libri si collegano tra loro per alcuni versi.
Mi infatti è capitato talvolta di rimuginare sul fatto che:
– non è detto che una mamma al rientro dal lavoro sia piena di energie da spendere: io muoio di sonno, non sono concentrata, non riesco a focalizzarmi. La mattina dopo non riesco a riprendere il filo delle cose lasciate il pomeriggio prima
– mi va anche bene che tutto sommato faccio un lavoro che mi piace, magari non copre al 100% i miei desideri e la mia vocazione, ma ci si avvicina abbastanza, quindi sono anche motivata a impegnarmi e sforzarmi di ricavare delle energie utili allo svolgimento del lavoro
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da Wikimedia Commons |
– credo che spesso, quando si fanno le riflessioni che generano progetti tipo MAAM, si faccia l’errore di tagliare fuori una buona fetta di lavoratrici che difficilmente fanno il lavoro dei loro sogni, ma perché non è scontato che tutti abbiano una vocazione lavorativa, magari lavorano solo per necessità e quindi si adeguano. Molti lavori mi rifiuto di credere che siano l’obiettivo di qualcuno. Naturalmente spero che chi si accontenta sul lavoro trovi poi realizzazione in altri ambiti della vita, ma pretendere che queste mamme, che riprendono a fare un lavoro che non interessa loro svolgere, siano tutte piene di energia da utilizzare in questo campo, mi pare troppo.
Mi sembra solo una visione un po’ snob, una divisione tra i ruoli poco realistica. Poi magari mi rendo conto che chi si strugge tra la carriera e i figli sono solo alcune categorie di lavoratrici, mentre altre vedono il lavoro come una necessità strettamente connessa al ruolo di madre, una forma di accudimento metaforico legato al portare a casa la proverbiale pagnotta…
Ma un’operaia, una colf…arriveranno mai a leggere MAAM?
– le aziende, nel trattare una donna in maternità e il suo rientro al lavoro, considerano questo aspetto, questa differenza tra i ruoli professionali? Forse non è giusto fare di tutta l’erba un fascio, negare che a una professionista interessi davvero riprendere il lavoro e quindi reiterare tutti quegli stereotipi legati alla scrivania nel sottoscala, al mobbing, alle pressioni. In questi casi forse l’azienda dovrebbe davvero ascoltare la sua dipendente, preparare il rientro assieme supportandosi a vicenda nei primi mesi. Fortunatamente ci sono casi in cui questo avviene, e altrettanto fortunatamente io ne sono una prova…va anche detto che parte della responsabilità è anche della lavoratrice, che sarebbe meglio restasse in contatto con colleghi e superiori, anche in modo informale, per non piombare ex abrupto il primo giorno in ufficio e non sapere da che parte è girata.
Comunque, in sintesi, il mio pensiero finale è: